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Che fai? Niente …
Dove vai? Da nessuna parte …
Risposte innocue a domande altrettanto innocue. Risposte leggere, date senza pensare. Parole che tutti noi probabilmente abbiamo pronunciato, magari a volte per evitare di dare la vera risposta.
Nei malati di Alzheimer questa risposta solitamente è la pura verità.
Il termine inglese per definire questo comportamento è wandering e risponde all’equivalente italiano di deambulazione afinalistica. O più in generale attività motoria aberrante. Ognuna di queste “etichette” fa riferimento a tutti quei movimenti che non hanno una finalità apparente. Queste azioni si possono racchiudere in due categorie: affacendamento e vagabondaggio.
L’affacendamento riguarda i gesti. La persona svolge una serie di azioni senza alcun senso logico apparente e magari anche in maniera ripetitiva (stropicciare un fazzoletto, lisciare i vestiti, aprire e chiudere un cassetto, ecc.). Ci sono diverse ragioni per la quale si manifestano questi comportamenti che solitamente sono legati ad uno stato di ansia che deriva dal fatto di non poter più fare qualcosa a cui si era abituati in precedenza. In questo caso far desistere dal comportamento interrompendo o sgridando la persona ha molto spesso solo un effetto negativo. Una volta assicuratosi che non ci sia un contesto pericoloso è molto più proficuo cercare un’attività alternativa che distragga il malato e lo porti a concentrarsi su altro.
Il vagabondaggio riguarda invece la deambulazione continua e senza finalità apparente. Anche in questo caso, come nel precedente, la manifestazione fisica può essere solo l’espressione di un bisogno fisiologico (sete, fame, necessità del bagno, percezione di un dolore) oppure di uno stato emotivo (ansia, ricordi del passato, paura).
Non sempre è facile capire anzi, a volte quasi impossibile, il perché di certi comportamenti e spesso l’unica cosa che aiuta e cercare uno “schema” legato a quando si manifestano (in che giorno/orario, cosa sta succedendo in quel momento) per riuscire a prevenirli o decifrare se nascondano una richiesta di risposta a un bisogno. E’ importante ricordarsi che non c’è una volontà di innervosire da parte del malato che non riesce a reprimere questi impulsi. Il pensiero primario che deve guidare il caregiver è il mantenimento della sicurezza del proprio caro.
A questo proposito vi ricordiamo il link a questo articolo pubblicato qualche tempo fa che può tornarvi utile: Tecnologia e demenza